Il Lago Trasimeno, da secoli fulcro identitario e culturale dell’Umbria, sta attraversando una delle pagine più difficili della sua storia recente. Le acque, progressivamente ritiratesi fino a livelli che non si registravano da decenni, hanno lasciato emergere porzioni di fondale, ridisegnando una linea di costa frammentata e vulnerabile. Ciò che a un osservatore superficiale potrebbe sembrare un fenomeno naturale di carattere stagionale, si configura in realtà come il segnale inequivocabile di una crisi sistemica che mette a rischio l’equilibrio ambientale, sociale ed economico dell’intero comprensorio.
Le rilevazioni del Club Velico Trasimeno e degli enti idrometrici regionali confermano un quadro allarmante: nella primavera del 2025 il livello del lago è sceso a –1,19 metri rispetto allo zero idrometrico. Si tratta di un dato che riporta alla memoria i momenti più critici del secolo scorso, quando la siccità impose e pesanti restrizioni alle comunità rivierasche. Non si tratta soltanto di un record negativo: un simile arretramento comporta una drastica riduzione della navigabilità, mette a dura prova l’equilibrio dell’ecosistema e rende sempre più precaria la sostenibilità delle attività economiche legate al bacino lacustre.
I battelli di linea gestiti da Busitalia, che garantiscono i collegamenti tra la terraferma e le isole, hanno dovuto ridurre corse e capacità operative. Le imbarcazioni più grandi sono state costrette a rimanere ferme in porto, mentre quelle di dimensioni ridotte navigano con difficoltà, rischiando di urtare i bassi fondali. Per i residenti delle isole si tratta di un disagio quotidiano che compromette mobilità e approvvigionamenti; per i turisti, di attese interminabili e servizi ridimensionati. Una situazione che mina uno dei simboli più forti del lago: la sua vocazione all’ospitalità e alla connessione.
L'abbassamento drastico del livello idrico ha rapidamente reso inutilizzabili numerose infrastrutture storiche. Moli a secco, pontili che non raggiungono più l’acqua e scivoli ridotti a sterili lingue di cemento testimoniano il collasso di un sistema di accessi progettato in epoche con condizioni idriche ben diverse. Sull’Isola Maggiore e sull’Isola Polvese, attracchi sicuri possono essere garantiti solo attraverso dragaggi frequenti e onerosi. I Comuni del comprensorio si trovano così a dover sostenere spese ingenti, con il rischio di compromettere una parte significativa della stagione turistica ancora in corso.
Stabilimenti balneari, noleggi di attrezzature nautiche e operatori ricettivi registrano un calo significativo delle attività tipiche della stagione lacustre: dalle escursioni in barca ai corsi di vela, fino al semplice noleggio di pedalò. Le prenotazioni, in particolare per i servizi legati al lago, mostrano segnali chiari di flessione. Al contempo, però, emergono tentativi concreti di resilienza: iniziative culturali, eventi gastronomici e percorsi naturalistici mirano a valorizzare il territorio anche quando il livello delle acque non è ottimale. I monitoraggi sulla qualità dell’acqua, condotti dagli enti competenti, restano rassicuranti, ma non riescono a dissipare l’incertezza economica che grava sugli operatori del settore.
Regione e amministrazioni locali hanno annunciato una serie di misure emergenziali - tra cui dragaggi mirati, manutenzioni urgenti e la valutazione di progetti di interconnessione idrica con bacini limitrofi - ma l’iter burocratico resta complesso e rallentato. Permessi, studi di impatto e gare d’appalto rischiano di allungare i tempi, rendendo difficile conciliare l’urgenza stagionale con le procedure necessarie. Per gli operatori del lago, questa lentezza si traduce in crescente frustrazione: servono interventi immediati per contenere i disagi della stagione in corso, ma è altrettanto urgente definire una strategia organica e coordinata, che riesca a garantire sostenibilità, continuità e resilienza alle attività lacustri anche nel medio e lungo termine.
Bagnini, barcaioli, albergatori e ristoratori chiedono con forza un piano unitario e duraturo per affrontare la crisi. “Il lago è la nostra vita - racconta un barcaiolo di Passignano - ma senza acqua e senza traghetti regolari, perdiamo tutto: lavoro, clienti e dignità”. Una testimonianza che sintetizza il sentimento diffuso in una comunità che, pur stremata, continua a lottare per preservare la propria identità e il proprio tessuto economico. Le richieste principali convergono su tre punti fondamentali: stanziamenti certi per l’adeguamento delle infrastrutture, strategie per diversificare l’offerta turistica e garanzie concrete sui collegamenti lacustri.
Il Lago Trasimeno non è un semplice bacino idrico: è un organismo vivente, un nodo ecologico e culturale, una cerniera storica che intreccia paesaggio, identità e sviluppo economico per decine di comunità. La crisi idrica che oggi lo affligge non è un episodio isolato, ma il sintomo di un disequilibrio sistemico: un monito che interroga non soltanto l’Umbria, ma l’intero Paese sul prezzo dell’inazione di fronte al cambiamento climatico e alla gestione miope delle risorse naturali.
In un contesto tanto fragile, interventi occasionali o emergenziali risultano inadeguati. Occorre un disegno strategico integrato, che affianchi misure immediate di mitigazione a politiche di lungo respiro, orientate alla resilienza e alla ricostituzione dell’equilibrio ecologico. Una simile sfida esige un’alleanza rinnovata tra istituzioni, comunità locali e tessuto produttivo, fondata su corresponsabilità, pianificazione partecipata e visione condivisa.
Il futuro del Trasimeno rappresenta oggi un banco di prova per la capacità collettiva di pensare e agire con lungimiranza: rimandare significherebbe assistere a una lenta erosione del suo valore ambientale, sociale e culturale. È giunto il momento di decisioni coraggiose, di politiche lungimiranti e di un impegno concreto che riconosca in questo lago non solo un patrimonio paesaggistico, ma anche un presidio di identità, un laboratorio di sostenibilità e un esempio virtuoso per l’intera Italia.