Il generale Cornacchia ricorda bene quel 9 maggio del 1978, data impressa anche nella memoria collettiva italiana, segnata dal tragico epilogo della vicenda di Aldo Moro, ritrovato senza vita nel bagagliaio di una Renault rossa amaranto in via Caetani a Roma.
Antonio Federico Cornacchia, allora colonnello e comandante del nucleo investigativo dei carabinieri di Roma, apre il bagagliaio e si trova di fronte al cadavere dello statista, un momento che segna profondamente la sua carriera e la storia del paese.
Cornacchia e il caso Aldo Moro: un percorso di dedizione e di ricerca
Cornacchia, originario di Monteleone di Puglia ma residente a lungo a Foligno, ha dedicato gran parte della sua vita a indagare e a scrivere sulla vicenda Moro. Attraverso i suoi libri, il generale ha cercato di fornire non solo fatti, ma anche riflessioni personali, arricchendo il dibattito pubblico con nuove prospettive e dettagli che vanno oltre le semplici informative asettiche delle forze dell’ordine di oggi.
Nonostante gli anni di indagini e la mole di informazioni raccolte, il generale Cornacchia afferma che sarebbe ingenuo pensare che tutto sia stato detto riguardo al sequestro e all’omicidio di Moro. La sua indagine ha portato a scoprire connessioni inaspettate, come quella con Licio Gelli e la loggia P2, rivelando complessità e intrecci che suggeriscono la presenza di manovre oscure e influenze esterne, etichettate dal generale come “eterodirezione”.
Cornacchia riflette sulla sua carriera con un senso di dovere compiuto, orgoglioso del lavoro svolto dai suoi collaboratori e dalle forze dell’ordine, nonostante le difficoltà incontrate, incluse le resistenze interne al sistema di potere dell’epoca, descritte come ostacoli deliberatamente posti per intralciare le indagini.
Il racconto del generale Cornacchia non è solo la cronaca di un evento tragico, ma anche una testimonianza del coraggio e della perseveranza di chi cerca la verità contro ogni avversità. La vicenda di Aldo Moro rimane uno dei capitoli più dolorosi e controversi della storia italiana recente, un intreccio di politica, misteri e indagini che continua a sollecitare domande e riflessioni a distanza di decenni.
A 46 anni dalla morte di Aldo Moro ancora troppi misteri
Cornacchia ha iniziato la sua carriera nell’Arma dei Carabinieri con un comando a Foligno nel 1960, per poi salire rapidamente di grado fino a diventare comandante del nucleo investigativo di Roma. Fu proprio in questa veste che il 9 maggio 1978, Cornacchia si trovò a gestire una delle scoperte più scioccanti del dopoguerra italiano: il ritrovamento del corpo di Aldo Moro in via Caetani. Questo evento segnò un punto di svolta nella sua carriera e nella percezione pubblica del terrorismo in Italia.
La carriera di Cornacchia è stata segnata da numerosi successi, come l’arresto di criminali noti come Renato Vallanzasca, ma anche da vere e proprie tragedie, tra cui minacce e attentati. In quegli anni l’Italia si trovava a fronteggiare il terrorismo rosso e nero. Infatti, il 27 luglio 1978, una bomba fu lanciata nel suo ufficio, e il suo collega Antonio Varisco fu assassinato dalle Brigate Rosse nel 1979.
Dopo il suo ritiro dai servizi attivi, Cornacchia ha scritto diversi libri sul caso Moro, offrendo la sua prospettiva unica e arricchendo il dibattito pubblico con dettagli e riflessioni personali. Questi lavori non solo forniscono una narrazione interna delle operazioni di polizia ma cercano anche di contestualizzare le azioni e le decisioni prese in momenti di grande tensione nazionale.
Le riflessioni di Cornacchia sul caso Moro evidenziano la complessità delle dinamiche tra i servizi segreti, le forze dell’ordine e la politica italiana. Le sue testimonianze suggeriscono che, nonostante gli sforzi investigativi, vi furono momenti, a detta sua, di “disorientamento” e decisioni discutibili che potrebbero aver influenzato il corso delle indagini e, forse, il destino stesso di Moro.