L’Umbria si posiziona al di sotto della media nazionale per quanto riguarda l’utilizzo del congedo di paternità, nonostante un incremento generale in Italia. È quanto emerso dal report di Save The Children che ha elaborato i dati INPS in occasione della Festa del Papà. Le province del Nord vedono i tassi più alti di utilizzo, con cifre che superano l’80% in località come Bergamo, Lecco, Treviso, Vicenza e Pordenone. Al contrario, l’Umbria, con Perugia al 70% e Terni al 68%, mostra una partecipazione inferiore al diritto all’astensione lavorativa.

Lo studio di Save the Children delinea il profilo del padre italiano che maggiormente beneficia del congedo di paternità. Tipicamente ha più di 30 anni, vive al Nord, è impiegato in aziende di medie-grandi dimensioni con contratti stabili e gode di un reddito medio-alto. Questo dato sottolinea come, nonostante le donne siano ancora oggi spesso costrette a sacrificare la carriera o l’impiego per responsabilità familiari, vi sia un movimento positivo verso una maggiore condivisione delle responsabilità di cura tra i generi.

L’analisi rivela inoltre che l’utilizzo del congedo è più frequente tra i padri con contratti a tempo indeterminato e redditi medio-alti. Tuttavia, esistono notevoli disparità nell’accesso a questo diritto, influenzate dal tipo di contratto lavorativo e dalla dimensione dell’azienda. Sorprendentemente, le piccole aziende con meno di 15 dipendenti hanno visto il maggiore incremento nell’utilizzo del congedo di paternità tra il 2021 e il 2022 (+ 8,7%).

Giorgia D’Errico, direttrice Affari pubblici e Relazioni istituzionali di Save the Children, enfatizza l’importanza di incentivare l’uso del congedo di paternità come strumento per promuovere una maggiore equità di genere nel lavoro e nella cura dei figli. “È necessario sostenere questo cambiamento, andare nella direzione di un congedo di paternità per tutti i lavoratori, non solo i dipendenti, garantendo che i datori di lavoro adempiano all’obbligo di riconoscere tale diritto, e fino ad arrivare all’equiparazione con il congedo obbligatorio di maternità“, afferma.

L’organizzazione sottolinea l’urgenza di rimuovere gli ostacoli che limitano l’avanzamento professionale delle donne, incoraggiando al contempo una condivisione più equa delle responsabilità parentali. Ancora D’Errico: “Una misura, questa, anche a sostegno delle neomamme, in un periodo della vita che troppo spesso si rileva difficile e caratterizzato da sentimenti di inadeguatezza e solitudine“.

Evoluzione e sfide del congedo di paternità in Italia: una visione d’insieme

L’Italia ha assistito a un significativo aumento nell’utilizzo del congedo di paternità, con un tasso che si è più che triplicato tra il 2013 e il 2022. Questo cambiamento riflette una crescente consapevolezza dell’importanza della condivisione delle responsabilità genitoriali tra madri e padri e promuove un approccio più equilibrato alla cura dei figli e al sostegno delle madri nel mondo del lavoro.

Il congedo di paternità è passato da 1 giorno obbligatorio e due facoltativi nel 2012 a 10 giorni obbligatori e uno facoltativo, utilizzabili nei mesi attorno al parto. Questa evoluzione normativa ha contribuito a un aumento significativo dei padri che ne hanno fatto uso: da meno di 1 su 5 nel 2013 a più di 3 su 5 nel 2022. Questo incremento testimonia un cambiamento culturale verso una maggiore partecipazione dei padri nella cura dei figli fin dai primi giorni di vita.

Nonostante questi progressi, permangono notevoli differenze nell’utilizzo del congedo. Queste sono influenzate da fattori quali l’età del padre, il tipo di contratto lavorativo, la dimensione dell’azienda, il reddito e l’area di residenza. Le province del Nord Italia registrano i tassi più alti di utilizzo, mentre quelle del Mezzogiorno mostrano percentuali significativamente inferiori. Inoltre, i padri con contratti a tempo indeterminato e redditi medio-alti tendono a usufruire maggiormente del congedo, evidenziando disuguaglianze nell’accesso a questo diritto.

Save the Children sottolinea l’importanza di sostenere e accelerare questo cambiamento culturale, promuovendo un congedo di paternità accessibile a tutti i lavoratori, non solo ai dipendenti. Questo passo è fondamentale per garantire che i datori di lavoro riconoscano il diritto al congedo. Ma anche per avanzare verso l’equiparazione con il congedo di maternità obbligatorio.

Qual è la situazione per i lavoratori a Partita IVA?

La paternità per i liberi professionisti e i lavoratori autonomi rappresenta una realtà con specifiche peculiarità, soprattutto in termini di indennità e supporto normativo. Rientra nei sistemi di congedo parentale rivisti nella Legge di Bilancio e prevede un sostegno economico per i padri lavoratori con Partita IVA. Ma evidenzia anche differenze sostanziali rispetto a quella per i lavoratori dipendenti.

Nel 2024 l’indennità di maternità e paternità per autonomi, liberi professionisti e parasubordinati è confermata e continua a seguire le modalità potenziate introdotte nel 2023. Questo significa che, oltre ai 5 mesi canonici di indennità è possibile accedere a 3 mesi aggiuntivi di supporto. Ma solo a condizione di soddisfare determinati requisiti reddituali.

L’indennità di paternità, più nello specifico, è una sorta di indennizzo e non richiede, pertanto, l’interdizione dal lavoro. In parole povere: i papà a Partita IVA possono continuare a lavorare nel periodo in cui ricevono il sostegno economico. Rispetto al congedo parentale obbligatorio per i padri lavoratori dipendenti, l’indennità di paternità si attiva in circostanze particolari. Tra esse la morte o grave infermità della madre, l’abbandono del figlio, o l’affidamento esclusivo al padre.

È fondamentale, inoltre, che i professionisti siano in regola con i contributi versati per poter accedere a questa indennità. Infine, per beneficiare dei 3 mesi aggiuntivi, il reddito dell’anno precedente non deve superare una certa soglia, che viene aggiornata annualmente in base all’indice ISTAT.