“Cessate il fuoco. Pace. In tutto il mondo” è il messaggio “di speranza” proiettato sulla facciata del palazzo comunale di Assisi al termine della processione del Venerdì Santo. “Da Assisi, città di pace e dialogo, terra di San Francesco, dove la Pasqua è rinascita, un appello forte alla fine delle guerre. Pace!” si legge sulla pagina Facebook ufficiale dell’ufficio turismo.
Un appello che vorremmo venisse raccolto in tutto il mondo visto l’alto numero di conflitti diffusi su tutti i continenti, conflitti che spesso non ricevono l’attenzione dei media ma che sono ad alta intensità e provocano migliaia di vittime.
La grande diffusione dei conflitti lontana da un “cessate il fuoco” globale
La guerra sembra una delle attività umane più diffuse e anche tra le più remunerative per i costruttori di armamenti.
È un quadro globale alquanto fosco, che contrasta con il messaggio di “cessate il fuoco” che parte da Assisi, quello che si evince dai dati raccolti dal “Conflict index 2024” (Indice dei conflitti), il rapporto annuale pubblicato a gennaio 2024 dall’Acled, l’organizzazione non governativa che si occupa di monitorare i conflitti nel mondo.
Nel 2023 i conflitti sono aumentati del 12% rispetto al 2022 e di oltre il 40% rispetto al 2020. Una persona su sei vive in un’area in cui vi è un conflitto attivo.
Nei 234 Paesi e territori analizzati, la maggioranza, 168, ha visto almeno un episodio di conflitto nel 2023. In totale, si registrano oltre 147mila eventi di conflitto e almeno 167.800 vittime. Ben 50 paesi sono caratterizzati da conflitti definiti come “estremi”, “elevati” o “turbolenti”.
Gli indicatori chiave dei conflitti nel mondo
L’aggiornamento 2024 dell’Indice valuta i livelli di conflitto in base a quattro indicatori chiave: mortalità, pericolo per i civili, diffusione geografica del conflitto e frammentazione dei gruppi armati.
I 50 Paesi con i tassi di conflitto più alti sono interessati di fatto dal 97% di tutti gli eventi registrati nel 2023. Ucraina, Myanmar, Messico e Palestina occupano i primi quattro posti in base a ciascuna categoria.
l Myanmar è primo per l’indicatore “alta frammentazione del conflitto”, dovuta alla presenza di centinaia di piccole milizie formatesi per contestare il governo dopo il colpo di stato del 2021.
Quello in Palestina è invece considerato il conflitto più diffuso, dal momento che questo investe quasi la totalità dei suoi territori. Il Messico invece continua a essere il Paese più pericoloso per i civili, i quali sono direttamente presi di mira dai cartelli del narcotraffico nelle loro violente competizioni.
E’ l’Ucraina il paese con più vittime al mondo, lontano il “cessate il fuoco”
L’Ucraina rimane il Paese con il maggior numero di vittime, poiché gli eserciti sia sul versante ucraino che su quello russo hanno perso decine di migliaia di combattenti, anche se, a partire dal 7 ottobre, è Gaza a registrare il maggior numero di vittime complessive.
La distribuzione geografica dei 50 Paesi più violenti in assoluto mostra che due di questi si trovano in Africa: si tratta di Nigeria e Sudan, con quest’ultimo che continua a peggiorare a causa delle costanti uccisioni di massa. Tre Paesi si trovano invece in Medio Oriente, Palestina, Yemen e Siria, a riprova delle profonde criticità che persistono nella regione da decenni, mentre nel continente asiatico è il Myanmar l’unico Paese con estrema violenza. Infine, quattro dei dieci luoghi estremamente violenti si trovano in America Latina e sono Messico, Brasile, Colombia e Haiti.
In questi Paesi non esistono grandi guerre tradizionali, ma piccoli conflitti multipli, mortali e pervasivi che rappresentano un fattore costante di instabilità sia nei Paesi in via di sviluppo sia in quelli più sviluppati. Infatti per i gruppi armati la violenza è lo strumento più efficace a loro disposizione nella competizione per il potere e il controllo del territorio.
La mancanza di copertura mediatica per molti conflitti
Non tutti i conflitti ricevono la stessa attenzione mediatica, per quanto violenti. Secondo il Rapporto, le ragioni sono diverse: in primo luogo, l’attenzione dei media è più frequentemente centrata su conflitti che sono rilevanti a livello internazionale o “geopolitico”, nel senso che hanno una risonanza oltre i confini del paese in conflitto, o coinvolgono almeno due governi. In questa categoria rientrano sia Gaza sia l’Ucraina.
Secondo, è difficile riferire sui conflitti più complessi e, sempre più spesso, i conflitti interni hanno più gruppi armati, programmi concorrenti e strategie violente variabili come nel caso di Messico, Brasile o Colombia.
In terzo luogo, la minaccia agli operatori dell’informazione in alcuni conflitti impedisce una copertura completa e spesso sono i civili, le organizzazioni locali e persino i governi a fornire informazioni su ciò che accade all’interno dei conflitti.