Per guardare una partita spesso si è disposti a tutto, anche a farsi fare dei certificati falsi. A Perugia, la giudice Emma Avella ha emesso una sentenza di estinzione del reato a favore di cinque agenti di Polizia penitenziaria e un dottore accusati di truffa in concorso, falsità ideologica e materiale commessa dal pubblico ufficiale. Nell’accusa figurano anche false attestazioni e certificazioni. Il caso ha destato grande scalpore poiché gli imputati erano accusati di aver orchestrato una truffa ai danni dell’Amministrazione penitenziaria attraverso certificazioni mediche fasulle.
Certificati falsi per guardare la partita della Champions
L’accusa sosteneva che gli imputati, tra cui un medico del Servizio sanitario nazionale e agenti di polizia penitenziaria, avessero falsificato certificati medici attestanti malattie degli agenti. Questi ultimi avrebbero presentato tali certificazioni alla direzione dell’istituto penitenziario per ottenere assenze dal lavoro ingiustificate e indebitamente retribuite.
Alcuni certificati di malattia riportavano giorni in cui gli agenti avrebbero dovuto prestare servizio, ma durante i quali si svolgevano importanti eventi sportivi come le partite della Champions League. L’ultima di campionato quell’anno venne vinta dal Barcellona, 3 a 1. Questo dettaglio ha reso ancora più evidente la malafede degli imputati e l’intento truffaldino di ottenere ingiusti vantaggi.
Secondo l’accusa, i certificati falsi, venivano redatti per guardare la partita e senza alcuna visita medica effettiva. Questi attestavano sintomi come cervicalgia, cefalea, disturbi gastrointestinali e mal di testa, al fine di giustificare le assenze dal lavoro degli agenti.
Inoltre, è emerso che uno dei certificati è stato alterato, modificando l’orario della presunta visita medica per farlo coincidere con l’orario di inizio del turno di lavoro, al fine di rendere più credibile la falsa giustificazione.
Nonostante le gravi accuse, gli imputati hanno completato con esito positivo il periodo di messa alla prova, dopo di che il tribunale ha emesso la sentenza di estinzione del reato. Questo significa che gli imputati non saranno soggetti a ulteriori conseguenze penali per i loro atti.
Che cos’è il periodo di messa alla prova e in cosa consiste
Il periodo di messa alla prova, noto anche come sospensione condizionale della pena, è una misura alternativa alla detenzione che può essere applicata ai condannati per reati non gravi. Consiste nel sottoporre il condannato a determinati obblighi e controlli da parte dell’autorità giudiziaria per un periodo di tempo prestabilito, al termine del quale la pena può essere estinta se il condannato ha rispettato tutte le prescrizioni imposte.
Durante il periodo di messa alla prova, il condannato può essere tenuto a rispettare alcune regole, come presentarsi periodicamente alle autorità competenti per controlli e monitoraggi, mantenere un comportamento conforme alla legge e non commettere ulteriori reati, svolgere un’attività lavorativa o impegnarsi in programmi di riabilitazione o formazione, e rendere risarcimento per il danno causato alla vittima del reato, se del caso.
La finalità della messa alla prova è favorire la riabilitazione del condannato e permettergli di reintegrarsi nella società, fornendo un’opportunità per dimostrare un cambiamento positivo nel comportamento. In questo caso, infatti, la giudice ha optato per estinguere il reato commesso.
Certificati falsi: non è la prima volta che succede
Nel 2023 successe uno scandalo simile, ma al carcere di Reggio Calabria. Un’intercettazione telefonica ha coinvolto l’ex direttrice delle carceri di Reggio, Maria Carmela Longo, una detenuta di nome Caterina Napolitano e il medico dell’ASP, in servizio presso la casa circondariale cittadina, Antonio Pollio. Tutti e tre furono imputati per una presunta certificazione medica falsa, elaborata su input della direttrice per evitare a Napolitano il viaggio da Reggio a Perugia per rendere una testimonianza in Tribunale.
la questione sulla presunta chiamata diretta tra Longo e Pollio non è stata risolta definitivamente, poiché le intercettazioni non hanno consentito di ascoltare l’interlocutore di Longo. Il caso continua a sollevare sospetti su un possibile coinvolgimento del medico e della direttrice nella certificazione medica falsa.