Il Ministero dell’Economia e delle Finanze dovrebbe avviare a settembre il processo di alienazione della quota di maggioranza di CariOrvieto e Banco Desio, secondo le indiscrezioni, sarebbe pronto all’acquisizione per generare un polo umbro. O, quanto meno, una aggregazione sotto l’ombrello della banca lombarda. Che però ha messo radici in Umbria da anni.
Ma andiamo per ordine. Innanzitutto la notizia che ad Orvieto ha generato attenzione e anche un pizzico di allarme. La mission di Invitalia, che controlla l’82,53% della banca orvietana attraverso il gruppo Mediocredito Centrale, si è praticamente conclusa. L’istituto di credito è risanato e ha chiuso il bilancio 2023 con un utile di esercizio di 7,8 milioni di euro (rispetto ai 2,6 milioni al 31 dicembre del 2022). E anche la semestrale 2024 ha confermato che il lavoro di Francesco Minotti (CEO di Banca MCC) ha portato risultati importanti. Il primo semestre dell’esercizio 2024, infatti, si è chiuso con un utile netto di 6,04 milioni di euro, rispetto a 3,04 milioni di euro al 30 giugno 2023.
Numeri che attestano un ritorno alla redditività dell’istituto di credito dopo il crack della Popolare di Bari. E che rendono appetibile sul mercato il brand e il core business della Cassa orvietana, soprattutto nell’ambito del risiko bancario nazionale. Un processo che vede nelle aggregazioni e nel consolidamento lo strumento di crescita per linee esterne delle banche “rampanti”. Di recente aveva fatto discutere un’intervista che Minotti aveva reso a Forbes. Nella quale Orvieto non veniva nominata. Ma nella quale delineava per Mediocredito Centrale un ruolo da “gruppo bancario universale al servizio del Mezzogiorno, grazie all’acquisto di Popolare di Bari, oggi BdM Banca“.
Per Banco Desio un possibile ruolo di aggregatore: dopo BPS punterebbe CariOrvieto per costruire un polo umbro
L’intervista a Forbes è stata letta dagli osservatori come il segnale di un disimpegno da Orvieto, per concentrarsi su un nuovo obiettivo. Quello della banca del Mezzogiorno. E la mossa del MEF, di monetizzare con i bandi di procedura aperta e pubblica per la vendita, sembrerebbe confermare questa scelta. Orvieto, d’altro canto, è una Cassa eminentemente locale (con diramazioni e sportelli in Toscana e Lazio) e non di area vasta.
Ecco che parte la caccia ai possibili acquirenti. In pole position ci sarebbe il Banco Desio, gruppo lombardo che ha già fatto shopping in Umbria e che ha dentro anche un’anima ternana. Da qui l’idea di un polo umbro con dentro anche Cariorvieto, con la stessa Desio col ruolo di dominus.
Nel 2013 la banca lombarda ha, infatti, acquisito la Banca Popolare di Spoleto, anch’essa finita al centro di una crisi irreversibile negli anni terribili della recessione. E nel 2019 – dopo qualche anno di gestione autonoma – ha completato la fusione per incorporazione della banca spoletina all’interno del Gruppo.
L’operazione di salvataggio della BPS portò, ai tempi, all’ingresso della Fondazione Cassa di Risparmio di Terni nel capitale sociale di Banco Desio. Oggi la Fondazione Carit non solo detiene il 4,5% del capitale sociale dell’istituto lombardo, ma esprime anche un consigliere di amministrazione (l’avvocato ternano Folco Trabalza) e il presidente del collegio sindacale. Il professionista, anche lui ternano, Emiliano Barcaroli. Si tratta di una partecipazione molto rilevante per la Fondazione, che in questo periodo è anche alle prese con la soluzione del rebus Unieuro. Che dopo l’OPA lanciata dalla francese FNAC, deve decidere cosa fare del suo 4,8%. Restare azionista di minoranza (seppure la società sarebbe delistata, cioè ritirata dalle contrattazioni in Borsa) o vendere la partecipazione?
Altri possibili pretendenti e le preoccupazioni orvietane per la vendita della Cassa di Risparmio
Le indiscrezioni su Banco Desio sono le più rilevanti. Ma filtrano voci anche di altri pretendenti. Come BCC Toscana-Umbria del Gruppo Banca ICCREA. Che sta procedendo a un processo di consolidamento della sua presenza nell’Italia Centrale. E poi potrebbero esserci anche manifestazioni di interesse anche da gruppi bancari di più grande dimensione.
Ma la politica orvietana è preoccupata soprattutto per il rischio di perdere l’autonomia e il marchio della storica banca locale. Un processo di aggregazione come quelli che hanno interessato tutte le banche della regione, porterebbe fatalmente alla scomparsa dell’ultima banca locale (tra quelle non cooperative) rimasta operativa. E anche ad Orvieto bisognerà capire quale sarà il ruolo della locale Fondazione, che ha mantenuto circa il 15% di proprietà delle quote azionarie della banca.
Ad inizio agosto, la sindaca Roberta Tardani e la presidente della Regione Donatella Tesei avevano incontrato il nuovo presidente di CariOrvieto nonché presidente del cda di Mediocredito Centrale, Ferruccio Ferranti. Con lui anche l’amministratore delegato di Mediocredito Centrale, Francesco Minotti, e Maurizio Barnabè, direttore generale della CRO. Nulla era trapelato circa la volontà del MEF sull’alienazione. Alimentando tutte le incognite che un cambiamento del genere comporterà per la realtà economica locale.