Migliaia sono stati i turisti e gli eugubini che hanno assistito venerdì scorso alla processione del Cristo Morto a Gubbio. Una tradizione particolarmente sentita a Gubbio. Come sempre Il Miserere ha accompagnato la processione, intonato dai due cori del Signore e della Madonna, intervallati dai canti della passione e da quelli delle Pie Donne esaltati dalla voce della soprano Sabrina Morena.

La processione è partita dalla Chiesa di Santa Croce della Foce alle 19,30, dopo il rito dell’unzione delle Sante Piaghe di Gesù con l’imposizione della bambagia con il balsamo di Cantiano sulle cinque ferite di Cristo.

Quindi con il Vescovo Luciano Paolucci Bedini ha sciamato lungo le vie della città. A Sant’Agostino e a San Marziale l’hanno accolta i tradizionali “focaroni”, per concludersi con il ritorno a Santa Croce.

Gli appartenenti alla Confraternita di Santa Croce hanno poi provveduto alla reposizione di Gesù Crocifisso nella nicchia dell’Altare Maggiore.

Canto del Miserere, antica tradizione eugubina

Il Miserere è un canto polivocale paraliturgico eseguito il Venerdì Santo, durante la solenne Processione del Cristo Morto di Gubbio, da due cori maschili a due voci. È suddiviso in dieci momenti corali intonati sul testo dei versetti dispari del Salmo 50. L’ordine di esecuzione dei dieci versetti appare variabile, sebbene alcuni di essi risultino più ricorrenti. Rispetto alla struttura del testo originario del salmo penitenziale, ciascun verso cantato presenta ripetizioni codificate di locuzioni o sezioni di frasi, specie in corrispondenza degli incipit. Nel terzo, sesto e nono versetto sono presenti momenti solistici.

Il Miserere è uno dei sette salmi penitenziali della liturgia cattolica, contrassegnato col numero 50 secondo la Vulgata, col 51 secondo la versione ebraica. Inizia con le parole “Miserere mei deus” (abbi pietà di me o Dio). Il Re David lo scrisse e recitò attorno all’anno 1000 a.C.

In esso il re, dopo l’incontro con il profeta Nathan, che gli rimproverava il duplice peccato dell’adulterio con Betsabea e dell’uccisione del marito di lei, invoca la misericordia di Dio e ne canta le lodi, sicuro, in fede del Suo perdono. È recitato negli uffici divini e in alcuni riti liturgici, come quelli esequiali, nei pii esercizi penitenziali. Al suo drammatico testo si ispirarono, in ogni epoca, elevate meditazioni spirituali e composizioni poetiche e musicali tra le più belle.

A Gubbio il Miserere rappresenta la “struggente” colonna sonora della Processione del Cristo Morto che conferisce al sacro rito quell’atmosfera di suggestione propria dell’evento che si sta compiendo.

I Coro del Signore e il Coro della Madonna

Ogni coro, composto da bassi e tenori, esegue il Miserere guidato da un proprio direttore: i due cori sono denominati come coro del Signore e coro della Madonna e accompagnano i due simulacri durante la Processione.

Il canto, in lingua latina, viene tramandato da sempre oralmente tra gli eugubini: oggi vengono cantate solo le strofe dispari. E’ andata perduta, nel tempo, la memoria musicale delle altre; in tre delle dieci strofe sono presenti dei momenti musicali “solistici”. Non sappiamo a quando risale l’origine del coro del Miserere: la struttura musicale del canto fa pensare ad una composizione di primo Ottocento. Il canto del Miserere, in archivio, non viene mai citato nella composizione della processione fino al 12 marzo 1895, quando i Priori della Confraternita nel dare indicazioni con pubblico manifesto per lo svolgimento della Processione, citarono “i cantori dell’armonioso Miserere”.

È una tradizione che inizia nella serata del mercoledì delle Ceneri, che corrisponde all’inizio del periodo “quaresimale”, durante il quale i due cori si riuniscono due volte alla settimana, martedì e venerdì, girando per i vicoli della città e provando il canto insegnandolo così ai più giovani che iniziano a partecipare. Al termine della Processione i due cori recitano, alternandosi, le dieci strofe del Miserere: tale esecuzione è comunemente chiamata “battifondo” ed allude ad un senso di sfida tra i due cori ma non è altro che un atteggiamento di profonda devozione spirituale che accompagna tutta la durata dell’evento