Incastonata tra i monti dell’Appennino e legata profondamente a Gubbio da secoli di storia e devozione condivisa, la cittadina di Cantiano si prepara a vivere il suo evento più atteso, più sentito, più identitario: la Turba.
Venerdì 18 aprile 2025, nel giorno del Venerdì Santo, tutto il paese diventerà teatro a cielo aperto per rievocare, come da tradizione, la passione, morte e resurrezione di Gesù Cristo, in una rappresentazione che fonde devozione, comunità e arte sacra.
L’atmosfera, già dai primi giorni di aprile, è fremito puro.
Le costumiste sono all’opera, le sarte danno gli ultimi ritocchi ai costumi dei soldati, dei sacerdoti, dei discepoli e dei passanti di un’antica Gerusalemme che rivive tra i vicoli del centro storico.
“Le nostre serate si passano ormai tra fili, cinture, elmi e mantelli” – racconta una delle volontarie del laboratorio costumi – “perché ogni dettaglio deve essere curato, ogni personaggio deve essere credibile.”
Nel frattempo, la regia, gli attori e i tecnici provano sui palchi all’aperto, nelle piazze, nei giardini e sulle colline. Il paese intero si anima, si raduna, si allena.
Anche le scuole partecipano, con laboratori didattici che coinvolgono i più giovani: “La Turba è il nostro patrimonio, è importante che i bambini imparino a viverla da dentro”, affermano gli insegnanti.
Il centro storico si trasforma in una piccola Gerusalemme.
Nei pressi dei giardini pubblici è stato allestito il Cenacolo, luogo simbolico dell’Ultima Cena, del tradimento e dell’arresto di Gesù.
In Piazza Luceoli, cuore pulsante della cittadina, sono sorte le scenografie monumentali: il Tempio dei Sacerdoti, il Pretorio romano, la Reggia di Erode.
Tutto è studiato per accogliere centinaia di personaggi che daranno vita ai momenti più drammatici della Passione, culminando nella salita al Golgota, collocata sulla collina di Sant’Ubaldo, sfruttando i ruderi della rocca medievale, che offrono uno scenario naturale di struggente potenza visiva.
Là avverrà la fiaccolata finale, l’ascesa al Calvario, illuminata dalle torce e dal silenzio delle centinaia di partecipanti e spettatori, in un clima che unisce sacro e teatrale in modo unico.
La Turba non è una semplice rappresentazione. È, da secoli, una ritualità collettiva, una memoria viva, una preghiera corale fatta di azioni, sguardi, silenzi e parole.
“Tutto il paese diventa attore, nessuno resta fuori”, dicono i volontari della Società Turba. “Anche chi non recita, contribuisce: prepara, cuce, accoglie, accompagna.”
Anche se Cantiano oggi appartiene alla provincia di Pesaro e Urbino, fa parte della Diocesi di Gubbio, a testimonianza di un legame antichissimo, che risale al Medioevo.
Per secoli, infatti, Cantiano è stata sotto l’influenza diretta della città dei Ceri, condividendone non solo territorio, ma anche riti religiosi, stili artistici e modelli di organizzazione comunitaria.
È proprio in questa osmosi tra Umbria e Marche che, intorno al XIII secolo, nacque il seme della Turba.
Il nome deriva dalle “turbae”, i gruppi di penitenti che, ispirati dal francescanesimo nascente, attraversavano a piedi le valli invocando la pace e la redenzione, flagellandosi e intonando il Miserere.
Fu così che a Cantiano prese forma la Compagnia dei Disciplinati di Santa Croce, divenuta poi nel 1427, per volontà di San Bernardino da Siena, Compagnia del Buon Gesù.
Il loro compito era chiaro: organizzare la processione del Venerdì Santo, con personaggi del Vecchio e del Nuovo Testamento.
Nel 1938, con la fine della Compagnia, nasce la Società Turba, che introdusse elementi teatrali e trasformò la processione in sacra rappresentazione, dando parola ai personaggi e utilizzando l’intero borgo come scena naturale.
“Dal silenzio alla parola, dalla mimica alla recitazione: è stato un passaggio che ha reso la Turba ancora più coinvolgente, comprensibile, emozionante” – raccontano gli anziani del paese.
La giornata del Venerdì Santo inizia alle 5 del mattino, con il risveglio al suono delle "battistrangole".
Segue la visita alle Sette Chiese e, nel pomeriggio, l’azione liturgica della Passione del Signore.
Alle 16:30, nella cappella laterale della Collegiata, i “33 rintocchi” annunciano la processione del Cristo Morto e della Madonna Addolorata.
La sera, dalle 20:00, il paese si raccoglie nei canti e nelle laudi tradizionali, in attesa della rappresentazione.
Alle 20:45 la cospirazione di Giuda. Alle 21:00 l’Ultima Cena. Poi, in successione: il processo, la condanna, l’ascesa al Calvario, la Resurrezione, la fiaccolata e l’omaggio nella Collegiata.
La Turba non ha spettatori: ha partecipanti. Anche chi guarda, partecipa. Anche chi non crede, si emoziona.
“Non è uno spettacolo: è un atto di fede collettivo”, sottolinea Maurizio Tanfulli, presidente della Società Turba. “Ogni anno è diverso, eppure ogni anno è lo stesso. Perché la Passione è eterna, e noi la portiamo in scena non per mostrarla, ma per viverla insieme.”
Cantiano, con la sua Turba, ci ricorda che l’identità non è una parola vuota, ma una pratica viva, fatta di volti, mani, riti, silenzi e gesti condivisi.
E che il sacro, quando è radicato in una comunità, non è mai retorica: è poesia popolare.
È una croce portata insieme, un fuoco che illumina la notte, una voce che attraversa i secoli.
Cantiano, la piccola Gerusalemme dell’Appennino, continua a parlare di Cristo ogni Venerdì Santo. E lo fa con la lingua più antica di tutte: quella del popolo.