11 Sep, 2025 - 22:00

Bocciato in seconda elementare: il Tar dell’Umbria dice no al ricorso dei genitori

Bocciato in seconda elementare: il Tar dell’Umbria dice no al ricorso dei genitori

Una decisione presa "nell’esclusivo interesse del minore", nonostante un grave incidente occorso l’anno precedente. È questo il cuore della sentenza con cui il Tar dell’Umbria ha respinto nelle scorse ore il ricorso dei genitori di un alunno di seconda elementare contro la bocciatura del figlio.

Secondo i giudici amministrativi, la scuola ha motivato in modo chiaro e approfondito la non ammissione in terza classe, evidenziando carenze formative gravi derivanti da mancate acquisizioni delle competenze di base. La ripetizione dell’anno, dunque, è stata ritenuta necessaria per consolidare le fondamenta dell’apprendimento dell’alunno, senza alcun rischio di discriminazione verso di lui.

Ricorso respinto dal Tar Umbria: il caso della bocciatura in seconda elementare

Il caso nasce dal ricorso presentato dai genitori, che chiedevano l’annullamento della delibera di scrutinio finale e della relazione dei docenti con cui, all’unanimità, il consiglio di classe aveva proposto la bocciatura del bambino. La famiglia – di origine straniera – ha sostenuto che la scuola avesse agito in maniera contraddittoria: solo un anno prima, al termine della prima elementare, il figlio era stato ammesso alla classe successiva malgrado gravi insufficienze.

Nel nuovo anno scolastico, invece, quei voti negativi sono stati considerati motivo di fermo. I genitori hanno inoltre denunciato un atteggiamento colpevolizzante nei loro confronti (in quanto immigrati) e lamentato ritardi nelle misure di supporto educativo. In particolare, hanno evidenziato che un educatore domiciliare è stato assegnato al bambino solo a maggio, poche settimane prima della fine delle lezioni, giudicando tale intervento tardivo e insufficiente.

L’incidente stradale e le difficoltà di apprendimento del bambino

Stando alla ricostruzione dettagliata contenuta nella sentenza, dopo la prima elementare – conclusa con valutazioni molto negative ma con ammissione "di fiducia" alla seconda – il bambino è stato vittima, proprio nell’ultimo giorno di scuola, di un grave incidente stradale. L’evento gli ha causato postumi permanenti, tra cui un’invalidità riconosciuta del 18%, e una conseguente riduzione temporanea della frequenza in aula. Nell’anno di seconda elementare, complice anche l’assenza prolungata iniziale, le difficoltà di apprendimento del bambino si sono ulteriormente aggravate.

Già a inizio anno le insegnanti hanno predisposto un Piano Didattico Personalizzato per cercare di colmare le lacune. Tuttavia, la partecipazione attiva della famiglia al percorso è risultata limitata. Il padre – rileva la sentenza – ha firmato il PDP in modo frettoloso, e in generale i genitori non sono mai andati ai colloqui generali né hanno richiesto aggiornamenti sul rendimento del figlio. Questa scarsa collaborazione tra scuola e famiglia, sottolineano i giudici, ha inciso negativamente sulle possibilità di recupero del bambino durante l’anno.

Le carenze nelle competenze di base secondo i docenti

La relazione finale dei docenti dipinge un quadro di carenze gravi e diffuse. Alla fine della seconda elementare, il bambino non è in grado di leggere in autonomia e riesce a scrivere solo poche parole bisillabe, in stampatello maiuscolo, commettendo frequenti errori. Non produce frasi di senso compiuto autonomamente e fatica a comprendere anche testi semplici pensati per la sua età.

Nell’area logico-matematica mancano persino i concetti di base: il piccolo non ha acquisito il valore posizionale dei numeri né l’ordinamento crescente/decrescente, e incontra gravi difficoltà nel risolvere semplici problemi aritmetici. Questo profilo di apprendimento estremamente deficitario, certificato dagli insegnanti, ha portato il consiglio di classe a ritenere che il passaggio in terza elementare sarebbe stato troppo impegnativo per il bambino senza un consolidamento preliminare.

Perché la scuola ha scelto la bocciatura e cosa dice la sentenza

Di fronte a tali elementi, le maestre hanno valutato che una promozione alla classe successiva avrebbe comportato "richieste didattiche ancora più pressanti, aggravando così le già rilevanti difficoltà emerse". Ripetere la seconda elementare è apparso quindi un passaggio obbligato "per consentire all’alunno un consolidamento delle competenze di base". Secondo la scuola – posizione fatta propria anche dal Tar – questa soluzione potrà evitare al bambino ulteriore frustrazione e demotivazione che deriverebbero dal trovarsi in terza elementare senza gli strumenti minimi necessari.

Il disagio legato al distacco dai compagni di classe originari è stato preso in considerazione ma giudicato un male minore rispetto all’interesse didattico del minore. A tal proposito, si evidenzia che il bambino sarà inserito in una nuova sezioneseconda, a organico ridotto, in cui ritroverà comunque alcuni compagni con cui aveva già familiarità, mitigando l’impatto sociale della ripetenza.

La sentenza del Tar Umbria

Nella sentenza, il Tribunale Amministrativo Regionale umbro conferma che l’istituto scolastico ha agito con coerenza e tempestività lungo l’intero biennio. L’ammissione "in extremis" alla fine della prima elementare viene letta dai giudici come un atto di fiducia da parte della scuola: una chance concessa al bambino per recuperare nel ciclo successivo, nonostante le insufficienze iniziali.

Quando però la situazione non è migliorata ma anzi è peggiorata, la scuola ha ritenuto doveroso intervenire più decisamente. I magistrati notano anche che l’istituto ha coinvolto i servizi sociali per supportare la famiglia già nel febbraio scorso – quindi diversi mesi prima dello scrutinio finale – smentendo l’accusa di inerzia o ritardo nell’aiuto.

In merito all’incidente stradale, il Tar osserva che non sono emersi elementi per concludere che quel fatto traumatico abbia inciso in modo determinante sul rendimento scolastico: né i genitori hanno mai segnalato formalmente alle maestre conseguenze specifiche sull’apprendimento del figlio. In definitiva, la sentenza sancisce che la non ammissione alla classe terza è stata adottata "nell’esclusivo interesse educativo" del minore, essendo ormai l’unica strada percorribile per dargli modo di acquisire quelle abilità di base che finora non ha fatto proprie.

Il dibattito nazionale sulle bocciature alle elementari

L’episodio umbro riporta d’attualità il dibattito sulla bocciatura nella scuola primaria, un provvedimento che la normativa italiana prevede solo in casi eccezionali e con motivazioni circostanziate. In Italia vige un orientamento pedagogico inclusivo: di norma "gli alunni della primaria sono ammessi alla classe successiva anche con apprendimenti parzialmente raggiunti", e la ripetenza anticipata è considerata un estrema ratio. Proprio per questo, casi di non ammissione nei primi anni di scuola risultano rarissimi e spesso finiscono all’attenzione dei tribunali.

Molti esperti sottolineano che una bocciatura in età tanto precoce può minare l’autostima e il percorso educativo del bambino, e sarebbe preferibile puntare su interventi di sostegno mirati senza interrompere la progressione regolare. D’altro canto, vi sono situazioni – come quella accertata in Umbria – in cui lasciare indietro l’alunno può apparire come un atto necessario di realismo didattico: promuovere un bambino che non padroneggia affatto lettura, scrittura e aritmetica rischierebbe di porlo in ulteriore difficoltà negli anni successivi, aggravando il suo svantaggio.

Esperti divisi tra inclusione e necessità di consolidare le basi

Non mancano precedenti opposti in cui il Tar ha dato ragione alle famiglie ricorrenti. Di recente, a Napoli, una bambina bocciata in prima elementare è stata riammessa dopo che il Tar Campania ha giudicato la bocciatura "intrinsecamente contraddittoria", evidenziando la mancanza di piani di recupero individualizzati nonostante le difficoltà dell’alunna. In quel caso l’azione dei giudici ha portato la scuola a fare marcia indietro e a promuovere la bimba, riconoscendo che non erano stati attivati tutti gli strumenti di inclusione necessari.

Nel caso umbro, invece, l’operato della scuola è stato ritenuto adeguato e la gravità delle lacune tale da giustificare l’eccezione alla regola della promozione automatica. La vicenda, in ogni caso, solleva interrogativi importanti: fino a che punto è giusto insistere sull’inclusione a tutti i costi, e quando invece diventa indispensabile fermarsi per rinforzare le basi? Il confine tra tutela dell’autostima del bambino e garanzia di un sufficiente livello di apprendimento resta sottile, affidato di volta in volta al giudizio pedagogico degli insegnanti – e, come si è visto, anche allo scrutinio finale dei giudici amministrativi.

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Francesca Secci
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