24 Jul, 2025 - 12:06

Bandiera della Palestina sul Palazzo dei Consoli di Gubbio: gesto simbolico o strumentalizzazione politica?

Bandiera della Palestina sul Palazzo dei Consoli di Gubbio: gesto simbolico o strumentalizzazione politica?

L’esposizione non autorizzata della bandiera della Palestina sulla facciata del Palazzo dei Consoli ha suscitato forti reazioni in città e ben oltre. Il gesto, attribuito a militanti presumibilmente vicini alla sinistra radicale, ha riacceso il dibattito su due piani distinti ma spesso sovrapposti: da un lato, la liceità dell’atto compiuto su un edificio pubblico e vincolato; dall’altro, il valore politico e simbolico di un tema – quello palestinese – che chiama in causa il diritto internazionale e le dinamiche geopolitiche globali.

Libertà di espressione e diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero: limiti giuridici 

È importante ribadire che  è garantito dall’articolo 21 della Costituzione italiana, che rappresenta la fonte primaria dell’ordinamento giuridico. Tuttavia, la libertà di espressione, pur essendo fondamentale, «non è illimitata»: incontra limiti nel rispetto delle norme di legge, nella tutela dell’ordine pubblico, del patrimonio culturale e dell’integrità delle istituzioni.

Nel caso specifico, il Palazzo dei Consoli non è solo un edificio pubblico, ma un bene storico-artistico sottoposto a vincolo, simbolo dell’identità cittadina e della continuità istituzionale. Un gesto, anche simbolico, compiuto su di esso senza autorizzazione, può configurare violazioni di carattere penale o amministrativo, come l’invasione di edificio pubblico, il deturpamento di bene culturale o la mancata richiesta di autorizzazione a manifestare in luogo pubblico.

Ma c’è un aspetto ancora più rilevante da sottolineare.

Il Consiglio comunale e i limiti della politica locale

A prescindere dalla valutazione giuridica del gesto, resta una questione di opportunità politica e istituzionale. È legittimo che cittadini e consiglieri comunali esprimano solidarietà umana e preoccupazione per quanto accade in Palestina. Tuttavia, pensare che una deliberazione del consiglio comunale di un’area marginale dell’Umbria possa incidere sulla soluzione del conflitto israelo-palestinese è illusorio.

Il problema della Palestina è una questione di diritto internazionale, incardinata nei complessi meccanismi della diplomazia multilaterale, dei rapporti tra Stati sovrani e delle risoluzioni dell’ONU. Ridurre questa drammatica realtà a un ordine del giorno votato in sede comunale rischia di trasformare un conflitto reale in un atto simbolico di scarsa o di nulla efficacia, se non in una mossa politica strumentale per mettere in difficoltà la giunta comunale presieduta da Vittorio Fiorucci.

Uno strumento politico fuori contesto

L’impressione diffusa tra molti osservatori è che l’episodio sia stato utilizzato più per finalità interne alla politica cittadina che per sincera solidarietà internazionale. La polemica che ne è seguita, infatti, non ha portato alcun beneficio concreto alla popolazione palestinese, né ha contribuito al dialogo o alla diplomazia.

Si è trattato piuttosto di un gesto con forte impatto mediatico e simbolico, utile a generare reazioni, divisioni e schieramenti. In questo senso, l’iniziativa sembra più un tentativo di lavarsi la coscienza che un reale contributo alla pace.

Il diritto internazionale: una crisi profonda dal 2001

Per comprendere la reale portata del conflitto israelo-palestinese e la difficoltà nel risolverlo, occorre uno sguardo più ampio: quello sullo stato attuale del diritto internazionale.

L’11 settembre 2001, con l’attacco alle Twin Towers, ha segnato un punto di non ritorno. Le regole stabilite dalla Pace di Vestfalia del 1648, che fondavano la sovranità statale e l’equilibrio fra potenze, e i principi sanciti dalla Magna Charta Libertatum – in particolare l’habeas corpus, garanzia contro l’arbitrio statale – hanno subito un progressivo svuotamento.

Da quel momento, il diritto internazionale è entrato in una crisi strutturale. L’attacco unilaterale degli Stati Uniti all’Afghanistan, senza un mandato formale del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, ha sancito il principio che la forza può prevalere sul diritto, minando la credibilità delle istituzioni internazionali.

L’impotenza delle Nazioni Unite

A più di vent’anni da quel passaggio storico, le Nazioni Unite appaiono sempre più marginalizzate, incapaci di risolvere i conflitti e impotenti di fronte alle violazioni sistematiche del diritto umanitario. Il conflitto israelo-palestinese è solo uno dei tanti esempi in cui le risoluzioni restano inapplicate, i processi di pace abortiti, le mediazioni inefficaci.

In questo quadro, invocare la pace in Palestina senza un reale ripristino dell’efficacia del diritto internazionale appare velleitario. Ogni dichiarazione unilaterale, ogni presa di posizione viscerale da una parte o dall’altra del conflitto, contribuisce più ad alimentare lo scontro che a favorire una soluzione giusta e duratura.

Una pace giusta richiede regole condivise

Perché possa esserci una pace giusta in Palestina, non basta la solidarietà espressa attraverso gesti simbolici, né tantomeno la propaganda politica locale. Serve un contesto globale in cui le norme siano riconosciute, rispettate e fatte valere, e in cui la legalità internazionale venga ripristinata come criterio di giustizia tra gli Stati.

Fino a quando questo non avverrà, ogni risoluzione votata da un piccolo comune, per quanto mossa da buone intenzioni, resterà inefficace, se non addirittura strumentale. Il rischio concreto è che l’internazionalismo venga piegato a logiche di consenso locale, e che il dibattito politico si riduca a uno scontro ideologico fine a se stesso.

Il dovere del realismo

Esporre la bandiera della Palestina su un edificio pubblico può essere interpretato come gesto politico, atto di denuncia o provocazione, a seconda dei punti di vista. Ma su un piano più alto, quello delle istituzioni democratiche e della loro funzione, va riconosciuto che non è in quella sede che si possono risolvere i grandi conflitti del nostro tempo.

La politica comunale ha il compito di governare il territorio, amministrare servizi, difendere il patrimonio pubblico e promuovere coesione sociale. Lanciarsi su temi geopolitici senza strumenti, competenze o mandato specifico non solo è inefficace, ma rischia di compromettere la credibilità dell’istituzione locale stessa.

Come insegnano il diritto costituzionale e quello internazionale, la buona volontà non basta: servono regole condivise e istituzioni forti per farle rispettare. Ed è solo in questo orizzonte – e non sulle facciate dei palazzi storici – che può nascere una pace duratura.

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Mario Farneti
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