L’arresto di Carmelo Miano, 24enne siciliano originario di Gela, è solo l’ultimo capitolo di una vicenda complessa e allarmante che ha messo in luce le falle nei sistemi informatici di alcune delle più importanti istituzioni italiane. Fermato a Roma lo scorso ottobre, la polizia ha accusato Miano di aver violato i server del Ministero della Giustizia. Gli investigatori della Procura di Napoli hanno scoperto che l’hacker era riuscito a trafugare ben 46 password di magistrati inquirenti. Il giovane avrebbe avuto accesso alle password dei procuratori di Perugia, Firenze e Torino.

Le indagini sono partite a seguito di un’attività di hacking che ha coinvolto il Ministero della Giustizia, la GdF e società come TIM e Telespazio. Durante l’operazione, l’hacker sarebbe riuscito a entrare nei server del ministero, compromettendo una serie di dati altamente protetti. Secondo la Procura di Napoli, Miano ha acquisito l’accesso agli account di 46 magistrati. Questa scoperta ha sollevato un forte allarme sulla sicurezza delle reti telematiche del sistema giudiziario italiano.

Arresto di Carmelo Miano, le preoccupazioni del procuratore Raffaele Cantone

Tra i magistrati colpiti dall’attacco c’è anche il procuratore della Repubblica di Perugia, Raffaele Cantone, che ha espresso il suo sconcerto di fronte alla notizia. “Incuriosito e inquietato”, ha dichiarato Cantone, di fronte alla scoperta che anche la sua password era finita nelle mani dell’hacker siciliano. Il magistrato ha condiviso il suo unico commento in merito con l’Ansa, senza però aggiungere ulteriori dettagli sull’andamento delle indagini in corso.

Il caso Miano è ora all’attenzione del tribunale del Riesame di Napoli. Quest’ultimodovrà pronunciarsi sulla richiesta della Procura di confermare la detenzione in carcere per il giovane hacker. Secondo gli inquirenti, l’azione di Miano rappresenta una minaccia per la sicurezza informatica del Paese. Infatti, è stata chiesta la massima severità nella gestione della sua detenzione.

L’avvocato difensore del ragazzo, Gioacchino Genchi, ha presentato ricorso, cercando di ottenere la scarcerazione del suo assistito. Genchi ha sollevato l’ipotesi che le vulnerabilità nei sistemi violati possano essere state sfruttate anche da altri soggetti. La difesa sostiene che “le porte del sistema informatico che Miano ha utilizzato siano state lasciate aperte per altre incursioni, molto più gravi e preoccupanti di quelle che ha commesso il ragazzo”. La sua difesa punta sul fatto che, sebbene Miano abbia avuto accesso a una grande quantità di dati, non li abbia utilizzati per arrecare danni al sistema giustizia, ma per controllare esclusivamente le informazioni che lo riguardavano.

Le gravi accuse mosse dalla procura e la scoperta del wallet

Le accuse nei confronti di Miano vanno oltre la semplice violazione informatica. Oltre all’accesso abusivo ai sistemi telematici, gli viene contestata la diffusione di malware e software dannosi, e l’acquisizione di milioni di euro attraverso operazioni illecite sui portafogli virtuali. Gli investigatori hanno trovato in suo possesso un wallet contenente diversi milioni in criptovalute. Quest’ultima prova rafforzerebbe l’ipotesi di connessioni tra l’hacker e possibili committenti esterni. La Procura di Napoli ha infatti ipotizzato che i dati acquisiti da Miano potessero essere venduti a terzi, ipotesi che lo renderebbe un elemento estremamente pericoloso. Sebbene il giovane hacker abbia affermato che l’unico suo scopo fosse quello di conoscere lo stato delle indagini che lo riguardavano, gli inquirenti ritengono che l’obiettivo principale fosse ben diverso, e che si trattasse di un’operazione ben più ampia finalizzata alla monetizzazione delle informazioni sottratte.

Un attacco senza precedenti al ministero della giustizia

L’azione di Carmelo Miano ha colpito al cuore la sicurezza informatica del Ministero della Giustizia, aprendo un dibattito sulla vulnerabilità delle reti utilizzate dalle istituzioni italiane. Secondo gli investigatori, l’hacker siciliano era riuscito a fingersi amministratore di sistema, ottenendo così accesso a database protetti, inclusi quelli contenenti dati segreti legati a indagini in corso. Le informazioni trafugate includevano non solo le credenziali dei magistrati, ma anche dettagli legati a procedimenti giudiziari in corso, creando un rischio potenzialmente devastante per la gestione della giustizia in Italia.