Un giorno e una notte arrampicato su una gru, è questa la protesta di un 62enne di Città della Pieve davanti al Palazzo di Giustizia nel quartiere Novoli, a Firenze. Anche stamani, 4 maggio, è continuata la protesta di Leonardo Moretti contro magistrati e forze dell’ordine.

“Sono pronto a togliermi la vita. Sono stanco di tutti i soprusi che ho subito negli anni dalla magistratura: non mi sento tutelato dalla giustizia. Sono stato preso in giro e ho deciso di gettarmi di sotto”. 

Moretti, che sta per finire in carcere, è assistito dall’avvocato Michele Vincelli, non è un delinquente abituale ma, dopo circa trent’anni di vicissitudini, si ritiene, un perseguitato dalla giustizia”, spiega il penalista.

In passato, l’uomo aveva già inscenato una protesta, piazzando una tenda davanti alla sede del tribunale fiorentino.

Arrampicato su una gru, ma non è questa la prima protesta del 62enne

La storia di Moretti, nato a Torino, ma residente a Città della Pieve, in Umbria, inizia con alcune denunce presentate e tutte archiviate nelle quali evidenziava dei “soprusi ai suoi danni”da parte di alcuni politici e amministratori locali riguardo a uno sfratto subito.

Nel 2009 l’uomo si era opposto, energicamente, ai lavori di un cantiere nei pressi della sua abitazione dell’epoca, attraverso una serie di condotte ostruzionistiche, finalizzate alla sospensione dei lavori. Da qui l’accusa di estorsione per una ‘buonuscita’ chiesta da Moretti. In seguito a questi fatti, il 17 aprile del 2009, è stato indagato dalla procura di Orvieto.

L’ultimo capitolo della protesta

Questo è perciò l’ultimo capitolo di una protesta che va ormai avanti da diversi anni. Proprio in occasione del primo sit-in organizzato nel giugno del 2020, davanti al Tribunale di Perugia, che Moretti aveva raccontato la sua storia. «Da sei anni stavo in una casa a Paciano, in nero ma mia insaputa, come dimostrano decine e decine di ricevute intestate a mio nome per i pagamenti di luce, gas e affitto. Alla morte del proprietario però gli eredi, con la menzogna e la manipolazione delle vere circostanze, attraverso il tribunale, hanno chiesto di rientrare in possesso dell’appartamento come se fosse sfitto o abbandonato».

Richiesta accolta dal giudice e da lì in poi Moretti ha di fatto perso tutto: «Mobili, tappeti pregiati, quadri, libri, argenteria oltre all’intera attrezzatura collegata al mio lavoro che tenevo in garage. Secondo i giudici ora tutti i miei averi sono degli eredi, che hanno anche minacciato di buttare tutto in discarica e vietato al mio avvocato di essere presente al “trasloco” come da mail», raccontava.

Da lì la sua di richiesta alle istituzioni: «Dopo l’esposto presentato al Tribunale di Perugia l’8 marzo, è sfuggita la mia situazione o forse non l’hanno compresa. Ora ai giudici chiedo di poter rientrare in casa e di poter rientrare in possesso dei miei averi, perché senza giustizia non c’è pace». Richieste evidentemente disattese, per Moretti che dopo aver manifestato anche in altre sedi e città, aveva lanciato il suo grido di protesta.

Alle udienze solo difensori d’ufficio

Moretti è comparso personalmente a tutte le udienze, tuttavia in costante assenza sia dei difensori di fiducia nominati, sia di quello d’ufficio: in pratica il processo si svolge sempre attraverso l’ausilio di difensori di turno o reperiti sul momento.

Nel settembre 2013 sopprimono il tribunale di Orvieto e gli atti trasmessi a Terni, dove il processo ha nuovamente inizio. La cancelleria gip del tribunale di Terni ha quindi inviato le notifiche al primo difensore nominato da Moretti, il quale non ha fatto altro che ribadire la propria rinuncia alla difesa, avvenuta già anni prima.

Alla fine, Moretti viene condannato e ora la condanna, dopo il rigetto del suo ricorso in Cassazione, è definitiva. “Dunque, dopo oltre 15 anni dai fatti, si aprono le porte del carcere per il Moretti e, pur essendoci prova, non solo della negligenza di vari difensori, ma anche della sua totale e incolpevole inconsapevolezza circa le sorti del suo processo, egli dovrà ora scontare cinque anni di reclusione, ricorda il penalista, dopo che il suo assistito si è arrampicato su una gru.