Si è aperto oggi a Firenze l’ultimo capitolo della travagliata e complessa vicenda giudiziaria di Amanda Knox. Assolta definitivamente nel 2015 dall’accusa per l’omicidio della studentessa britannica Meredith Kercher, oggi Knox al palazzo di Giustizia è arrivata in taxi con i suoi legali e il marito Chris Robinson. Dovrà rispondere davanti alla Corte d’Assise d’Appello del capoluogo toscano delle accuse di calunnia nei confronti di Patrick Lumumba, che non è presente in aula perché rimasto in Polonia, dove attualmente vive e lavora.
Amanda Knox a Firenze: che cosa ha dichiarato
Amanda Knox ha parlato per circa dieci minuti, in italiano, tornando con la mente alla notte del 5 novembre 2007, quando si trovava in questura. “Non avrei mai testimoniato contro Patrick (Lumumba ndr) – ha detto – come invece la polizia voleva. Non sapevo chi era l’assassino. Patrick non era solo il mio capo al lavoro ma anche mio amico. Non avevo interesse ad accusare un amico innocente. Patrick mi ha insegnato a parlare l’italiano, si è preso cura di me. Prima dell’arresto, mi consolò per la perdita della mia amica. Mi dispiace di non essere stata così forte di resistere alle pressioni polizia e che lui ne abbia sofferto“.
“Ero una ragazza di 20 anni spaventata, ingannata, maltrattata dalla polizia. Il 5 novembre 2007 è stata la notte peggiore della mia vita. Pochi giorni prima la mia amica Meredith era stata uccisa nella casa che condividevamo. Ero scioccata, era un momento di crisi esistenziale. La polizia – aggiunge la Knox – mi ha interrogata per ore in una lingua che non conoscevo. Si rifiutavano di credermi, mi davano della bugiarda, ma io ero solo terrorizzata. Non capivo perchè mi trattavano in questo modo, minacciandomi di farmi avere una condanna a 30 anni se non ricordavo ogni dettaglio. Un poliziotto mi ha dato uno scappellotto in testa dicendomi: ‘ricorda’”. La Knox ha spiegato che con il memoriale scritto in carcere voleva ritrattare le dichiarazioni rese. “Chiedo umilmente alla Corte di dichiararmi innocente” ha concluso.
Amanda Knox e il processo per calunnia
Nella prima fase delle indagini per l’omicidio di Meredith Kercher avvenuto il primo novembre 2007, Knox nominò Patrick Lumumba, barista congolese e all’epoca suo datore di lavoro, quale possibile autore del delitto. L’uomo fu arrestato e scagionato due settimane dopo quando dimostrò di avere un alibi più che inattaccabile per quella tragica notte. Lumumba era infatti nel suo bar, circostanza confermata da 12 testimoni. Quell’accusa iniziale aveva determinato gravi conseguenze nella vita dell’uomo, sia a livello personale che professionale.
Carlo Pacelli, difensore di Lumumba, ha riferito all’Adnkrons che il suo assistito avrebbe voluto essere presente in aula, ma gli impegni lavorativi glielo hanno impedito. Pacelli ha sottolineato come questa fase del processo sia cruciale per il suo cliente che ha subito un grave danno a seguito delle false accuse mosse contro di lui.
Ieri il post: “Spero di cancellare una volta per tutte le false accuse contro di me”
Ieri, la Knox che oggi ha 36 anni e vive a Seattle con il marito e due figli piccoli, in un post su Instagram dove ha 116mila follower, aveva scritto: “Il 5 giugno entrerò nella stessa aula di tribunale in cui sono stata riconvocata per un crimine che non ho commesso. Questa volta per difendermi di nuovo. Spero di cancellare una volta per tutte le false accuse contro di me. Auguratemi buona fortuna. Crepi il lupo!” quest’ultima frase in italiano.
I giudici sono attualmente in camera di consiglio. La sentenza che stabilirà se Amanda Knox è colpevole o no del reato di calunnia nei confronti di Patrick Lumumba è attesa per oggi dopo le 12.