La Corte di Cassazione ha depositato il 21 maggio 2025 le motivazioni con cui conferma in via definitiva la condanna di Amanda Knox per calunnia nei confronti di Patrick Lumumba. Una pagina giudiziaria che si chiude con parole nette: l’ex studentessa americana accusò consapevolmente un innocente per allontanare da sé i sospetti, durante una fase particolarmente delicata delle indagini sull’omicidio di Meredith Kercher, avvenuto a Perugia nel novembre 2007.
Il caso torna così d’attualità, con un pronunciamento che arriva a quasi vent’anni dai fatti e che ricostruisce con chiarezza il comportamento dell’imputata durante i primi interrogatori.
La Suprema Corte ha definito il comportamento di Amanda Knox come una scelta dettata da un intento preciso: uscire da una situazione giudiziaria scomoda in cui si trovava coinvolta in qualità di sospettata. “Piena consapevolezza dell’estraneità” di Lumumba: queste le parole utilizzate nella sentenza per sottolineare che l’accusa mossa non fu frutto di confusione, ma di una valutazione strategica.
Knox venne interrogata in una fase convulsa, quando le indagini cercavano di ricostruire le ultime ore di Meredith Kercher, trovata morta nella casa che divideva con la stessa Amanda. Fu allora che, con una dichiarazione scritta, Knox fece il nome di Lumumba come presunto autore del delitto. Il documento, pur redatto in modo incerto e contraddittorio, conteneva affermazioni ritenute “oggettivamente calunniose” dalla Corte.
Una delle prove ritenute più significative è un’intercettazione ambientale risalente al 10 novembre 2007. Durante una conversazione con la madre nel carcere di Capanne, Amanda Knox disse chiaramente di sentirsi in colpa per ciò che aveva fatto a Patrick Lumumba. “Gli devo delle scuse”, disse. Parole che, secondo i giudici, rivelano la piena coscienza della falsità dell’accusa e il rimorso per le conseguenze provocate.
A queste si aggiunge il memoriale, scritto da Knox di sua iniziativa durante la notte, dopo un lungo interrogatorio. In quel testo compare il nome di Lumumba, associato all’omicidio, e benché Amanda non parli in termini completamente certi, lascia intendere un coinvolgimento diretto. Per la Corte, l’effetto pratico di quel documento fu l’arresto immediato di Lumumba, che rimase in carcere 14 giorni prima che venisse confermata la sua totale estraneità grazie a un alibi verificato.
Nel 2019, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha riconosciuto che Amanda Knox fu interrogata senza un avvocato e senza un interprete adeguato. L’Italia fu condannata a versare un risarcimento simbolico. Tuttavia, la sentenza europea non ha avuto effetto sull’impianto della condanna per calunnia. La Cassazione ribadisce che il comportamento di Knox non fu una conseguenza diretta delle violazioni, ma frutto di una scelta autonoma. In altre parole, anche in un contesto difficile, Knox avrebbe potuto astenersi dal coinvolgere un innocente.
Patrick Lumumba ha accolto la notizia con una certa sobrietà ma anche con fermezza. “Questa sentenza non mi restituisce quello che ho perso, ma almeno ristabilisce la verità su ciò che è accaduto,” ha detto. La sua vita, da quel novembre 2007, non è più stata la stessa: gestiva un bar a Perugia e fu arrestato sotto gli occhi dei clienti. Nonostante il successivo proscioglimento, la sua reputazione e la sua serenità furono compromesse.
Il suo legale, Carlo Pacelli, ha parlato di un punto fermo posto dalla Cassazione: Amanda Knox non è una vittima dell’errore giudiziario, ma la responsabile di una calunnia che ha causato la privazione della libertà a un innocente. Una vicenda che per Lumumba ha segnato “un prima e un dopo” nella sua esistenza.
La difesa di Amanda Knox ha espresso delusione per il verdetto, parlando di una “decisione che non tiene conto della pressione psicologica” vissuta all’epoca. Prima della pubblicazione delle motivazioni, Knox aveva affidato ai social un messaggio in cui dichiarava: “Non sono una bugiarda, non sono una calunniatrice, sono stata travolta da qualcosa più grande di me.”
La figura di Amanda Knox resta divisiva. Negli Stati Uniti è spesso vista come vittima del sistema giudiziario italiano; in Italia, invece, le sue responsabilità – soprattutto in relazione a Lumumba – sono state valutate con maggiore severità. Con la sentenza della Cassazione del 21 maggio 2025, si chiude formalmente il lungo iter legale su questo aspetto della vicenda.