Amanda Knox è tornata a Firenze per partecipare a un’udienza cruciale della Corte d’assise d’appello, dove si deciderà se sia responsabile di calunnia nei confronti di Patrick Lumumba. Questo procedimento è un’appendice della lunga e complessa vicenda giudiziaria legata all’omicidio di Meredith Kercher.

Amanda Knox in aula a Firenze: in giornata la decisione della Corte

Pochi giorni prima dell’udienza, Amanda Knox ha espresso i suoi sentimenti su X (precedentemente Twitter), scrivendo che torna in aula “ancora una volta” per difendersi e sperando di poter finalmente “scagionare” il suo nome da quelle che definisce false accuse. Queste parole riflettono la determinazione di Knox nel voler chiarire definitivamente la sua posizione legale e personale, dopo anni di battaglie giudiziarie e mediatiche.

Knox è arrivata a palazzo di giustizia con il marito Chris Robinson. L’udienza di oggi a Firenze è particolarmente significativa per Amanda Knox, che dovrebbe chiedere al presidente della Corte, Anna Maria Sacco, di poter rilasciare dichiarazioni spontanee prima della sentenza. Questa mossa potrebbe permettere a Knox di presentare direttamente la sua versione dei fatti e di esprimere il suo punto di vista sulla questione della calunnia nei confronti di Lumumba.

Su Instagram la cittadina americana ha scritto ai suoi follower: “Il 5 giugno entrerò nella stessa aula di tribunale in cui sono stata riconvocata per un crimine che non ho commesso. Questa volta per difendermi di nuovo. Spero di cancellare una volta per tutte le false accuse contro di me. Auguratemi buona fortuna. Crepi il lupo!” 

Patrick Lumumba sarà assente all’udienza, attualmente vive in Polonia con la moglie e lavora lì. Secondo il suo avvocato, Carlo Pacelli, Lumumba avrebbe voluto essere presente in aula, ma gli impegni lavorativi gli hanno impedito di venire in Italia. La sua assenza, tuttavia, non diminuisce l’importanza della sua testimonianza e del suo ruolo nella vicenda.

L’avvocato difensore di Lumumba, ha dichiarato all’Adnkronos che il suo assistito avrebbe preferito partecipare all’udienza ma non ha potuto a causa di impegni lavorativi inderogabili. Pacelli ha sottolineato come questa fase del processo sia cruciale per il suo cliente, il quale ha subito un grave danno a causa delle false accuse mosse contro di lui.

Il caso Meredith Kercher

La vicenda inizia il 1° novembre 2007, quando Meredith Kercher, una studentessa britannica di 21 anni in Erasmus, viene trovata morta nel suo appartamento a Perugia, Italia. La giovane era stata brutalmente uccisa, e le indagini si focalizzarono subito su Amanda Knox, la sua coinquilina americana, e Raffaele Sollecito, il fidanzato di quest’ultima.

La scena del crimine presentava segni di lotta e indizi di un’aggressione violenta. La polizia italiana, nel giro di pochi giorni, arrestò Amanda Knox e Raffaele Sollecito, insieme a Patrick Lumumba, un barista congolese che venne accusato da Knox durante un interrogatorio. Succesivamente, Lumumba fu rapidamente scagionato grazie a un alibi solido.

L’attenzione si concentrò quindi su Rudy Guede, un cittadino ivoriano con precedenti penali, il cui DNA venne trovato sulla scena del crimine. Guede fu arrestato in Germania, dove era fuggito, e successivamente estradato in Italia. Fu condannato a 30 anni di carcere (poi ridotti a 16 in appello) per l’omicidio di Meredith Kercher, in un processo separato rispetto a Knox e Sollecito.

La vicenda giudiziaria non terminò con le condanne. Nel 2011, in appello, Knox e Sollecito furono assolti per insufficienza di prove. La Corte d’Appello di Perugia criticò duramente l’operato della polizia e la gestione delle prove, dichiarando che molte delle accuse erano infondate. Knox tornò negli Stati Uniti, mentre Sollecito riprese la sua vita in Italia.

Nel 2013, la Corte di Cassazione annullò l’assoluzione e ordinò un nuovo processo, sostenendo che vi erano state omissioni e contraddizioni nel verdetto d’appello. Nel 2014, Knox e Sollecito furono nuovamente condannati, ma la Corte di Cassazione, nel 2015, li assolse definitivamente, ponendo fine al loro calvario giudiziario.