Si è spento all’età di 88 anni Goffredo Fofi, uno degli intellettuali più influenti e originali del secondo Novecento italiano. Nato a Gubbio nel 1937, ha attraversato oltre mezzo secolo di storia culturale, sociale e politica italiana con sguardo critico, spirito militante e instancabile passione civile. Saggista, giornalista, critico cinematografico e letterario, attivista e promotore culturale, Fofi ha incarnato una figura intellettuale fuori dal coro, capace di dialogare con le avanguardie artistiche e con le periferie dell’anima.
“Gli umili possono diventare protagonisti se dotati di strumenti culturali”, ripeteva spesso. Una frase che racchiude la sua intera visione del mondo.
Nato in una cittadina umbra dalle profonde radici medievali, Fofi non ha mai rinnegato il legame con Gubbio, ma ha subito rivolto lo sguardo al mondo. Ancora giovanissimo, alla fine degli anni Cinquanta, si trasferì in Sicilia per seguire da vicino l’opera di Danilo Dolci, poeta, sociologo e attivista per la pace, noto per le sue battaglie contro la mafia e l’emarginazione nel Mezzogiorno.
“Fu un’esperienza decisiva”, raccontava Fofi. “Lì ho capito che la cultura non è un orpello, ma un’urgenza quotidiana.”
Quell’esperienza in Sicilia – vissuta tra inchieste sociali, educazione popolare e disobbedienza civile – lo segnò per sempre, orientandolo verso un pensiero radicalmente pacifista, antiautoritario e vicino agli ultimi.
Dopo un periodo a Parigi, dove frequentò gli ambienti intellettuali più vivaci della sinistra europea, Fofi tornò in Italia e si stabilì a Torino, dove condusse un’approfondita inchiesta sull’emigrazione meridionale pubblicata da Feltrinelli. Un lavoro pionieristico, che anticipava tematiche oggi più che mai attuali: disuguaglianze territoriali, migrazione interna, conflitti culturali.
È a Torino che fonda Ombre rosse, rivista simbolo di un approccio culturale militante, ispirato al pensiero critico, vicino ai movimenti studenteschi e operai.
“La cultura deve sporcarsi le mani, non restare chiusa nei salotti.”
Negli anni Settanta, Fofi si trasferisce a Napoli, città che amò profondamente e che contribuì a raccontare come luogo di contraddizioni e bellezza viva. Lì fu tra i promotori della Mensa dei bambini proletari, esperimento di mutualismo urbano, e fondò – insieme all’antropologo Stefano De Matteis – la rivista Dove sta Zazà, dedicata alla cultura popolare e meridionale.
Difensore appassionato delle forme espressive non ufficiali, si batté per il recupero critico di figure come Totò, fino ad allora snobbate dall’intellettualismo dominante.
“Il riso, la commedia, il gesto popolare: tutto questo è cultura. E Totò era un genio.”
Il lavoro di Goffredo Fofi è indissolubilmente legato al mondo delle riviste. Negli anni ha fondato, diretto e animato testate che sono diventate luoghi di formazione critica e riflessione civile, come Lo straniero, Linea d’ombra, e più di recente Gli asini, che ha diretto fino agli ultimi tempi.
“Non credo in una cultura per pochi, credo in una cultura che si allarga come cerchi nell’acqua”, scriveva nell’editoriale di uno dei primi numeri de Gli asini.
Attraverso queste pubblicazioni, ha dato voce a scrittori emergenti, educatori, operatori sociali, mantenendo sempre una visione inclusiva e antielitaria della cultura.
Fofi ha vissuto sempre in bilico tra intellettualità e militanza, rifiutando l’idea di cultura come mera estetica. Per lui arte e conoscenza erano strumenti di emancipazione, di lotta, di presa di coscienza.
Celebre fu la sua decisione di promuovere – in tempi non sospetti – la traduzione italiana del romanzo erotico Emmanuelle, destinandone i proventi alla pubblicazione delle opere complete di Amadeo Bordiga, fondatore della sinistra comunista italiana.
“Il mio lavoro è sempre stato quello di collegare mondi lontani, creare cortocircuiti virtuosi.”
Il primo tentativo editoriale fu però bloccato dalla magistratura per oscenità, ma questo non fece che rafforzare la sua opposizione a ogni forma di censura e moralismo culturale.
Gubbio, sua città natale, ha voluto esprimere con commozione e gratitudine il proprio cordoglio per la scomparsa di uno dei suoi figli più illustri. In una nota ufficiale, il Comune ha ricordato con affetto il profondo legame che Fofi ha sempre mantenuto con le sue radici:
“Gubbio saluta con affetto uno dei suoi figli più lucidi e coraggiosi. Ne ricordiamo la passione civile, l’umanità e l’impegno con cui ha cercato di dare voce a chi non ne aveva. La sua opera resta patrimonio della nostra città e del Paese intero.”
La scomparsa di Goffredo Fofi lascia un vuoto reale nel panorama culturale italiano. In un tempo in cui la cultura rischia di appiattirsi su logiche di mercato, in cui l’impegno si confonde con il marketing sociale, la sua figura appare ancora più necessaria, più attuale, più viva.
“Non ho mai voluto piacere a tutti. Ho sempre cercato di dire la mia verità”, dichiarava in una delle sue ultime interviste.
Una verità che passava per la critica cinematografica, l’analisi sociale, la promozione della lettura, ma soprattutto per un’idea di cultura come servizio, come resistenza, come possibilità di riscatto.
Con Goffredo Fofi se ne va una voce libera, ma resta un’eredità ricchissima: libri, articoli, testimonianze, riviste, incontri, battaglie. Resta un esempio di come si possa essere intellettuali senza compromessi, senza mai tradire la propria coerenza e senza mai smettere di ascoltare le voci più deboli.
In tempi in cui l’omologazione culturale sembra avanzare, il suo pensiero resta come una lanterna accesa nel buio, capace di illuminare nuove generazioni di lettori, educatori, artisti e cittadini.
“La cultura è ciò che ci permette di non restare soli”, scriveva. E forse oggi, più che mai, abbiamo bisogno di ricordarlo.