Alle spalle delle porte chiuse di una caserma, quello che all'inizio era stato classificato solo come “uno scherzo tra colleghi” è diventato il fulcro di una vicenda giudiziaria capace di cambiare la vita di un ex carabiniere e scuotere le fondamenta dei diritti legati all’uniforme. Con una sentenza dirompente pubblicata nei giorni scorsi, il TAR Umbria, presieduto da Pierfrancesco Ungari, ha respinto il ricorso di un ex Appuntato Scelto, condannato in via definitiva per abuso sessuale.
La decisione è perentoria: “la perdita del grado per motivi disciplinari comporta la modifica del titolo di congedo e la perdita della pensione privilegiata”. Così, una condotta grave e accertata porta via tutto: grado, reputazione e diritti pensionistici costruiti in anni di servizio.
La storia inizia con una denuncia interna. Nell’aula del tribunale, la prima lettura dei fatti è minimizzata: "il fatto non costituisce reato per mancanza del dolo”. Una frase che sembrava chiudere ogni discussione. Ma la Corte d’Appello ribalta la situazione: “la condotta è penalmente rilevante, il dolo è certo”.
La condanna diventa pesante: un anno, un mese e dieci giorni di reclusione. La Corte di Cassazione conferma tutto: "il ricorso proposto dal militare è inammissibile”.
Il militare è già in congedo per infermità, dichiarato non più idoneo al servizio. Ma questa condanna cambia radicalmente la sua sorte. La commissione di disciplina dell’Arma è chiara e severa: “Comportamento contrario ai principi di moralità e rettitudine, lesivo del prestigio personale e dell’Istituzione”. Da quel momento, per il carabiniere il passaggio dall’uniforme all’esclusione è definitivo.
L’impatto della sentenza è tangibile. Con la perdita del grado disciplinare, il titolo di congedo viene modificato retroattivamente: si annulla il beneficio garantito dal congedo per motivi sanitari e scatta la revoca dei diritti previdenziali speciali maturati per la pensione privilegiata.
L’ex militare - assistito dall’avvocato Angelo Fiore Tartaglia - contesta: “Il provvedimento è illegittimo, viola i diritti acquisiti e, con efficacia retroattiva, mi priva della pensione maturata”. Ma i giudici amministrativi non lasciano spazio a dubbi: “La decorrenza anticipata e il mutamento del titolo della cessazione dal servizio quando la perdita del grado avvenga successivamente a seguito di procedimento penale o disciplinare costituiscono acquisizione consolidata nell’ordinamento militare”.
Il risultato? L’ex carabiniere vede sparire sia il grado che i benefici: nessuna pensione privilegiata, solo il trattamento ordinario. Un segnale forte: l’Arma ribadisce pubblicamente che solo chi mantiene integrità e onore può rappresentare i suoi valori, chi viene meno perde tutto.
Questa vicenda non è solo personale: la sentenza del TAR Umbria diventa terreno di battaglia tra esperti di diritto militare e della previdenza. Da anni, la retroattività della perdita del grado e l’impatto sulle pensioni dei militari alimenta dispute tra giuristi, Corte dei Conti, associazioni di categoria, e avvocati. Alcune pronunce puntano a tutelare i diritti acquisiti al momento del congedo, altre - come quella di Perugia - stabiliscono che la condanna penale e la rimozione disciplinare possono annullare ogni privilegio anche se il procedimento termina dopo la fine del servizio.
Un tema che divide, fa discutere e non sembra destinato a chiudersi. Mentre giuristi e istituzioni provano a trovare un equilibrio, il caso di Perugia mostra con chiarezza che la responsabilità non appartiene solo al passato di chi indossa la divisa, ma pesa anche sul suo futuro e sui diritti sociali che può reclamare.