Generavano un giro d'affari da 52 milioni di euro provenienti dal commercio di beni di lusso, soprattutto abbigliamento e calzature di brand all'ultimo moda. Peccato però che non versavano l'Iva dovuta che ammonterebbe a ben 11 milioni. Questo quanto emerso dall'operazione ribattezzata "China Lux" portata a termine dai funzionari del Reparto Antifrode dell’Ufficio delle Dogane di Perugia. Nel mirino sono finiti 19 imprenditori cinesi sparsi in mezza Italia, il primo dei quali individuato nel tifernate.
La prima a finire nel mirino è stata un'azienda della provincia di Perugia che si è rivelata essere soltanto la punta di un gigantesco iceberg fatto di omissioni e di una colossale evasione fiscale. Da lì gli inquirenti sono riusciti a risalire ad altre 18 attività commerciali, tutte detenute da uomini e donne di origine cinese, situate tra Lombardia, Piemonte, Liguria, Emilia Romagna e Toscana.
Le aziende commerciavano le marche più note ma i titolari risultavano nullatenenti o evasori totali. Un'incongurenza che non è passata inosservata. Si trattava, nella realtà dei fatti, di "meri identificativi fiscali senza alcuna reale struttura aziendale né commerciale che potesse giustificare la movimentazione degli ingenti quantitativi di merce, ai quali i funzionari dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli (ADM) sono riusciti a risalire" riferisce una nota diffusa dall'ADM.
Dietro alla frode fiscale si celava un meccanismo ben congegnato. Le ditte in questione facevano in modo di ottenere la qualifica di "esportatore abituale", approffitando della normativa che consente a chi, nell’anno fiscale precedente, ha generato un volume di affari pari ad almeno il 10% costituito da cessioni negli Stati UE o extra UE.
Con quella qualifica si presentavano ai vari fornitori, a volte anche presso le stesse boutique dei grandi marchi che commerciavano. Grazie a quel documento potevano acquistare la merce senza pagare l'Iva dovuta. Allo stesso modo venivano omessi i relativi adempimenti tributari e fiscali previsti.
Anche l'azienda tifernate da cui è scaturita l'indagine, una ditta individuale, aveva dalla sua lo status di "esportatore abituale". A suo carico sono state scoperte gravi inadempienze fiscali e tributarie oltre che ingenti acquisti nazionali effettuati proprio in virtù della qualifica stessa.
L'ADM incrociando l'analisi dei rischi e le risultanze delle proprie banche dati con le indagini finanziarie sui conti correnti, è riuscita a risalire all'entità delle somme. Di soldi ne giravano parecchi ma di tasse non si vedeva nemmeno l'ombra. Il denaro proveniva tutto dalla vendita di beni di lusso che però, una volta incassato, finiva su conti correnti cinesi giustificato con operazioni commerciali fittizie.
Partendo dalla ditta del perugino, sono stati identificati altri 18 soggetti, di cui quattro soltanto in Lombardia, tutti attivi nel triennio tra 2020 e 2023. Tutti presentavano lo stesso modus operandi, agendo sul territorio nazionale con le medesime modalità di frode riscontrate per l’operatore cinese residente in Umbria.
Gli accertamenti sulle attivtà commerciali hanno portato a ricostruire un giro d'affari da 52 milioni di euro a fronte di 11 milioni di Iva evasa e sottratta alle casse dello Stato italiano.
I titolari delle ditte individuali sono stati deferiti all’Autorità Giudiziaria competente territorialmente. Lunga la lista dei reati contestati che vanno dall'omessa dichiarazione Iva passando per l'omesso versamento delle imposte e per l'occultamento di scritture contabili. Nei confronti dei soggetti coinvolti sono state elevate sanzioni salatissime che vanno da un minimo di circa 13 milioni a oltre 30 milioni di euro.